Passando in rassegna il corso dei secoli ci si potrebbe lecitamente domandare se grandi ed illustri personaggi del calibro di Augusto, Carlo Magno, Federico II di Svevia, Napoleone abbiano rilevanza anche ai giorni nostri. Certamente sì dato che sono individui che hanno lasciato un segno nella storia ed oggi sono commemorati da monumenti. Le loro imprese possono essere talvolta oggetto di ammirazione e le loro virtù possono essere d'esempio. Eppure li sentiamo in un certo senso distanti dalla nostra piccola vicenda umana e la loro immagine perde di consistenza di fronte al fluire incessante del tempo ed al progredire degli eventi. Li percepiamo freddi nella loro marmorea maestosità.
Pare però che vi sia una figura che inevitabilmente in ogni epoca attragga a sé e spesso affascini gli uomini a tal punto da spingerli ad incentrare la propria esistenza in funzione del suo insegnamento. È un fatto rilevante con cui fare i conti perché non ha eguali in tutta la storia dell'umanità. Tale figura è Gesù Cristo.
«Indagando, interrogando, Gesù emerge sempre come l'uomo più sconvolgente di tutti i tempi (com'è noto il tempo stesso in buona parte del mondo si computa a partire dalla sua nascita). Non c'è nessun individuo che gli si possa paragonare per l'importanza, la vastità e la durata della sua influenza. Nessuno scatena amore e odio come lui. È anche il più rappresentato e cantato dall'arte di tutti i tempi. Anche la letteratura moderna ne è testimone».
È rilevante infatti la sua influenza anche su intellettuali e grandi personalità dei nostri tempi i quali non hanno esitato a darne un giudizio. Filosofi come Nietzsche, Hegel, Rousseau, Kierkegaard; letterati come Manzoni, Dostoevskij, Pasolini, Kafka; figure politiche come Napoleone non hanno potuto astenersi dall'osservare e dare un giudizio su una tale figura.
C'è chi, rimasto affascinato, ha fatto di Gesù il tema fondamentale della propria produzione. È il caso dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881) il quale, dopo essere stato colpito dalla lettura del Vangelo durante il suo periodo di prigionia in Siberia, decide di dedicare la sua produzione letteraria all'indagine della coscienza umana nei suoi meandri più oscuri e mostrare come la figura di Cristo possa essere soluzione delle esigenze fondamentali dell'uomo. Scrive inoltre ne I fratelli Karamàzov, romanzo del 1880: «Vasto è davvero l'uomo, fin troppo vasto. Qui il diavolo lotta con Dio e il campo di battaglia sono i cuori degli uomini». Lo scrittore russo testimonia questa convinzione nei suoi romanzi. Prevalgono infatti monologhi e dialoghi (in questo senso il critico Michail Bachtin parla di “romanzo polifonico" poiché la voce del narratore onnisciente è soffocata dalle voci dei personaggi) nei quali si esprime la coscienza umana, tralasciando la descrizione di ambienti e paesaggi. Ed in questa sua indagine la figura di Cristo è sempre presente (esplicitamente o implicitamente) come è evidente in ciò che scrive nell'abbozzo aL'adolescente dove si legge: «Mai ho potuto immaginarmi gli uomini senza di Lui». Ma perché la figura di Cristo e l'uomo sono così inscindibili per Dostoevskij? Perché l'uomo ha bisogno di Lui? Chi è Gesù per l'uomo? Lo scrittore russo scrive in una lettera alla moglie:
«Il Cristo solo ha potuto, ma il Cristo era l'ideale eterno, l'ideale di sempre, al quale l'uomo aspira e deve aspirare in forza della legge di natura. (…) tutto dipende da una cosa sola: che si riconosca o meno il Cristo come l'ideale definitivo sulla terra, ossia che tutto dipenda dalla fede cristiana. Se credi al Cristo, credi che vivrai eternamente (…). Il Cristo è entrato interamente nell'umanità e l'uomo aspira a trasfigurarsi nell'Io del Cristo, come nel suo ideale».
Dunque per Dostoevskij Cristo è sommo ideale dell'uomo. Ma non è solo un ideale astratto. Scrive infatti Divo Barsotti, sacerdote pisano, nella sua opera Dostoevskij, La passione per Cristo: «Se è poca l'attenzione che ha lo scrittore dell'ambiente fisico nel quale vivono i suoi personaggi, è perché il mondo nel quale egli li pone è il mistero. Una presenza invisibile li accompagna. L'uomo non è solo. Non è un altro mondo, ma questo mondo scopre una sua segreta profondità.(...)
Sembra che egli voglia introdurli in un mondo che essi vogliono rifiutare. È il mistero dell'uomo. Anzi è il mistero del Cristo. Egli è l'Uomo vero, l'Uomo eterno».1 Per l'autore russo quindi Cristo è anche una presenza misteriosa che permea la realtà e che parla all'intimo dell'uomo. E l'uomo o rimane scandalizzato e lo rifiuta o rimane affascinato e lo segue.
A seguire questa figura è anche un altro letterato e poeta moderno, Alessandro Manzoni (1785-1873), il quale approda al cattolicesimo dopo una meditata conversione che implica anche il suo modo di concepire la realtà, e quindi anche la letteratura. È noto infatti il passo della sua Lettera sul Romanticismo in cui afferma, contrariamente alla sua poetica degli anni giovanili, che «La poesia, la letteratura deve proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto, l'interessante per mezzo». E la verità non è il mito, tema fondamentale dei classicisti che per i romantici è «falso riconosciuto» (Lettera sul Romanticismo), ma è la storia in prospettiva cristiana. In essa tutto assume un preciso significato secondo un piano provvidenziale. La letteratura in Manzoni si apre, a differenza di Dostoevskij, alla dimensione storico sociale più che a quella della coscienza individuale. Il suo infatti viene definito “cristianesimo democratico”. L'attenzione è rivolta agli umili, ai poveri, ai perseguitati, ai sofferenti che possono trovare il loro riscatto nella predicazione e nell'opera salvifica compiuta da Cristo. Essa continua, secondo Manzoni, nell'operato della Chiesa e dello Spirito Santo, come si evince dal suo noto inno sacro La Pentecoste (1822), nel quale invoca quest'ultimo affinché anche nel suo tempo esso possa discendere e vincere le miserie umane.
Evidente è in questi versi la fiducia di Manzoni nei confronti della Chiesa come promotrice del messaggio evangelico («Che le tue tende spieghi \
Dall'uno all'altro mar») il quale solo può dare speranza ai sofferenti. Ma soprattutto grande è la fiducia nell'azione dello Spirito Santo, l'unica forza, secondo Manzoni, in grado di risollevare l'umanità dal proprio squallore, di ridare forza, coraggio, sicurezza, vitalità ai credenti e di infondere la giustizia nei cuori degli uomini corrotti (vv. 89-96; 113-120).
Anche in Manzoni quindi la figura di Cristo (inscindibilmente legata a quella del Padre e del Paraclito) non è solo ideale, in quanto promotrice di nuovi valori, ma è anche presenza (tramite l'azione dello Spirito Santo) in grado di dare speranza e significato alla storia umana.
In concreto il messaggio di Gesù viene testimoniato nell'età moderna anche dalla Chiesa seppur con nuovi mezzi. Rilevante dal punto di vista storico è la teorizzazione e la successiva applicazione della dottrina sociale. Essa «è parte integrante del ministero di evangelizzazione della Chiesa. Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini (…) non è estraneo all'evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell'uomo».1È chiaro che la Chiesa nell'età moderna si prefigge un compito ben preciso: testimoniare il messaggio di Cristo attraverso un attento giudizio delle condizioni storico-sociali contemporanee e un agire concreto nella realtà in atto. Con la dottrina sociale la Chiesa «Annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso».2Dunque anche in essa Cristo è ideale per l'uomo; ma è un ideale che assume concretezza nella storia umana, tramite l'agire degli individui nella Chiesa e nella società.
Documento fondamentale della moderna dottrina sociale della Chiesa è l'enciclica Rerum Novarum (Delle cose nuove) promulgata nel 1891 da papa Leone XIII. In essa il pontefice prende in considerazione i problemi sociali del suo tempo, in particolare la questione operaia, sotto l'ottica della dottrina cattolica e propone una soluzione coerente con essa: vi è il rifiuto del socialismo e del capitalismo sfrenato, vengono difesi il diritto alla proprietà nonché i diritti e i doveri dei lavoratori e degli imprenditori, il diritto di associazione e i diritti dei poveri e dei deboli; viene inoltre espresso il principio di collaborazione delle classi contrapposto a quello della lotta di classe tipicamente marxista.
Tutto questo si tradusse in una intensa attività sociale da parte dei cattolici con opere di assistenza, sindacati, casse rurali e assicurazioni.
Ma soprattutto l'enciclica fondò le basi teoriche per una società giusta secondo principi validi anche ai giorni nostri tanto che «Tutta la dottrina sociale potrebbe
essere intesa come un'attualizzazione, un approfondimento ed un espansione del nucleo originario di principi esposti nella Rerum Novarum».
La Chiesa, in quanto testimone di Cristo, non si pone di fronte alle questioni sociali tentando di elaborare sistemi di organizzazione alternativi né affronta i problemi secondo «orizzonti teorici e criteri operativi ristretti e insufficienti rispetto alle dinamiche in atto, intrinsecamente incapaci di individuare i concreti e pressanti bisogni umani nella loro vasta gamma».
La sua prerogativa è solo quella di promuovere un ordine sociale giusto che corrisponda ai valori cristiani e che possa aiutare la piena realizzazione degli individui.
In ogni caso essa deve sempre tenere conto della dimensione del mistero: «Se si mette tra parentesi la relazione con Dio, si svuota la natura del suo significato profondo, depauperandola. Se invece si arriva a riscoprire la natura nella sua dimensione di creatura, si può (…) penetrare così nell'orizzonte del mistero, che apre all'uomo il varco verso Dio».
Ma la Chiesa non è univocamente riconosciuta come testimone di Cristo. È noto infatti come con l'avanzare dei secoli essa sia stata percepita sempre più come una istituzione lontana dall'originario insegnamento evangelico. E una delle personalità più rilevanti dell'epoca moderna, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900), ne ha fatto l'oggetto di un'aspra critica, come è evidente nella sua opera L'Anticristo, Maledizione del Cristianesimo (1888). Bisogna innanzitutto precisare che nella sua critica egli ingloba nella categoria di “cristiani” non solo quelli propriamente detti, ma anche i socialisti, gli idealisti e i romantici, ritenuti male morale e sociale: i primi danno valore, come i Cristiani, ai deboli, ai maltrattati e ai poveri; i secondi ritengono tutto subordinato allo spirito, del quale la realtà non è altro che manifestazione; i terzi sono colpevoli insieme ai precedenti di aver sostenuto l'esistenza di un mondo metafisico.
La critica è rivolta alla Chiesa così come è stata fondata dagli apostoli ed in particolare da San Paolo, il quale è ritenuto il principale responsabile del travisamento del vero messaggio di Gesù Cristo. Egli ha sfruttato le masse e gli oppressi per acquisire potere.
Anche i nazionalisti si possono considerare “cristiani” poiché utilizzano, come già Paolo fece, lo sfruttamento delle masse.
Il filosofo prussiano Arthur Schopenhauer, che pure fu suo ispiratore, viene successivamente criticato da Nietzsche e annoverato ai “cristiani” in quanto sosteneva la necessità di avere nei confronti dell'esistenza un atteggiamento di noluntas, non volontà, e quindi passività, per la quale risultava un nemico della vita.
Tema fondamentale infatti della sua produzione tarda è la Volontà di potenza, di difficile interpretazione, ma che in ogni caso rimanda ad un forte attaccamento alla vita, contrariamente a quanto sosteneva Schopenhauer.
Il Cristianesimo dunque, onnicomprensivo di tutti questi fenomeni, ha la colpa di aver creato un mondo dietro al mondo e di aver quindi tolto la forza di vivere agli uomini.
«Definisco il Cristianesimo l'unica grande maledizione, l'unica grande e più intima depravazione, l'unico grande istinto della vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, furtivo, sotterraneo, meschino - lo definisco l'unica immortale macchia d'infamia dell'umanità»1.
Risulta chiara in questa citazione l'opinione generale del filosofo a riguardo di ciò che egli ritiene “Cristianesimo”.
Il filosofo Giorgio Colli sottolinea nella sua nota introduttiva a L'Anticristo che Nietzsche racchiude nella parola “Cristianesimo” tutti gli ideali del mondo moderno (metafisica, morale, democrazia...) e perciò nel criticarlo attua la cosiddetta “trasvalutazione dei valori”, il rovesciamento dei valori comunemente accettati in favore di un nuovo modo di vivere, più autentico secondo il filosofo.
Il libro ebbe sì un grande successo per la sua critica veemente contro il Cristianesimo, la quale ha avuto la forza di incoraggiare coloro che celavano questo disprezzo, ma talvolta gli stessi sostenitori vengono annoverati tra i criticati e quindi nella categoria di “Cristiani”. I lettori più superficiali non sono in grado di accorgersene dato che è un libro che «si conviene ai pochissimi», ma i più attenti rimangono perplessi nell'accorgersi di essere equiparati all'oggetto della propria critica.
Nietzsche, sostiene ancora il Colli, ottiene un grande effetto facendo un cambio di prospettiva ovvero sostituendo all'etichetta di uomo moderno quella di uomo cristiano, amplificando così la forza della sua critica; ad esso contrappone per antitesi l'uomo antico, che è espressione della naturalità, al contrario del primo, il quale rappresenta la repressione di ciò che è naturale.
Nella sua critica al Cristianesimo egli tuttavia non coinvolge la figura di Cristo, come sostiene anche il filosofo Massimo Cacciari: «la polemica di Nietzsche contro il Cristianesimo è rivolta alla teologia paolina, peraltro fraintesa, e non alla figura sinottica di Gesù».
Nietzsche ritiene che l'insegnamento di Cristo, che è stato, secondo il filosofo, un insegnamento di vita e non un'opera di redenzione, sia stato frainteso dai primi cristiani e da San Paolo. Gesù è stato il primo ed unico cristiano, che ha promosso un modo di vivere e non una dottrina: criticava le gerarchie ecclesiastiche, scardinava le tradizioni e veniva visto come pericoloso per l'ordine costituito. È stato modello di un nuovo modo di comportarsi: essere veramente cristiani significa agire come lui ha agito; non è importante credere, secondo Nietzsche, ma agire.
Cristo è stato emblema di purezza, naturalezza, innocenza; egli aveva abolito il concetto di colpa, secondo il filosofo tedesco, e viveva il suo essere divino come buona novella e non come un privilegio: aveva eliminato la distanza tra divino e umano.
Manifestò la sua superiorità e la sua libertà anche nel suo modo di morire, senza risentimento. Tuttavia è proprio la sua morte a segnare per Nietzsche una sconfitta: Cristo è stato vittima della sua stessa compassione.
San Paolo invece non solo ha male interpretato ma pare proprio aver ribaltato l'insegnamento di Gesù incentrando non nella vita ma in qualcosa oltre ad essa il senso dell'esistenza. Ha creato simboli e ha logicizzato in dottrina l'insegnamento travisato in modo da ottenere potere sulle masse. E il tutto si basava, secondo Nietzsche, sulla menzogna della risurrezione.
Cristo dunque è stato un modello, sotto certi aspetti, per l'uomo, ma un modello non compreso, e soprattutto un ideale, che tuttavia è morto in croce e non vive più, non è più presente.....
(fine frammento)
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giovedì 1 luglio 2010
giovedì 24 dicembre 2009
Statue di Gesu Bambino nella storia della chiesa S.Lorenzo di Gatteo
La parrocchia di S.Lorenzo di Gatteo è in possesso di diverse statue di Gesù bambino provenienti da diversi periodi storici.
Eccole:
1) Gesù fasciato. É bello ma non ha valore artistico ed è di recente fabbricazione.
2) Gesù bambino con perizoma. Raffigurazione abbastanza antica (1600) di lunghezza 15-20 cm. Si pensa che il perizoma sia stato inserito successivamente e che la statua fosse inizialmente un angioletto da appendere, data la presenza di ganci sulla parte posteriore. Ha un certo valore artistico.
3) Gesù fanciullo. Raffigurazione di Gesù fanciullo di età 4-5 anni circa. Utilizzato da don Borghesi (1891-1965) il quale faceva svolgere una processione con questa immagine alla “Associazione della santa infanzia” il giorno d'Epifania.
4) Gesù piccolo. Forse è risalente al 1700. Al momento è danneggiato.(foto in arrivo)
5) Gesù bambino. Attualmente utilizzato in esposizione nella chiesa parocchiale, è di fabbricazione recente.
(foto: Dennis Faedi)
Eccole:
1) Gesù fasciato. É bello ma non ha valore artistico ed è di recente fabbricazione.
2) Gesù bambino con perizoma. Raffigurazione abbastanza antica (1600) di lunghezza 15-20 cm. Si pensa che il perizoma sia stato inserito successivamente e che la statua fosse inizialmente un angioletto da appendere, data la presenza di ganci sulla parte posteriore. Ha un certo valore artistico.
3) Gesù fanciullo. Raffigurazione di Gesù fanciullo di età 4-5 anni circa. Utilizzato da don Borghesi (1891-1965) il quale faceva svolgere una processione con questa immagine alla “Associazione della santa infanzia” il giorno d'Epifania.
4) Gesù piccolo. Forse è risalente al 1700. Al momento è danneggiato.(foto in arrivo)
5) Gesù bambino. Attualmente utilizzato in esposizione nella chiesa parocchiale, è di fabbricazione recente.
(foto: Dennis Faedi)
sabato 30 maggio 2009
Girolamo Amati, relazione di Dennis Faedi alla manifestazione culturale di Savignano sul Rubicone
Il Comitato di gestione del Centro Sociale Ricreativo Culturale "M° Secondo Casadei" di Savignano sul Rubicone, nell'ambito delle attività promosse a favore della popolazione scolastica locale, indice una manifestazione culturale rivolta agli studenti del Liceo Scientifico "Marie Curie" avente come tema:
"SAVIGNANO CITTA' DI CULTURA: CONOSCIAMO I SUOI CITTADINI ILLUSTRI DEL PASSATO ANCHE A TTRA VERSO LE VIE E LE STRADE AD ESSI INTITOLATE".
Gli studenti interessati, nell' ambito della normale attività scolastica, svolgeranno studi e ricerche sul tema proposto, elaborati scritti ed eventuali disegni verranno esposti ed illustrati sabato 30 Maggio 2009 nel corso della manifestazione che si terrà alle ore 10,30 nell' arena Gregorini. Ci saranno presenti circa 250 studenti del Liceo.
Il Presidente del Centro Sociale, Roberto CAPANNI, nell' ambito dell' iniziativa, alla presenza delle Autorità scolastiche ed istituzionali, nonché delle famiglie degli studenti del Liceo Scientifico, porterà il saluto ai presenti, consegnerà una targa a ricordo della manifestazione alla scuola e lettori MP3 agli studenti che avranno realizzato studi ed elaborati sul tema proposto.
I ragazzi interessati hanno infatti realizzato degli elaborati a 11 personaggi cui sono intitolate altrettante vie di Savignano sul Rubicone: Borghesi, Perticari, Vendemini, Amati, Faberi, Gasperoni, padre De Lubelza, Rocchi, Nardi, Moroni, Barbaro.
Seguirà un piccolo rinfresco.
La Cittadinanza è invitata.
Girolamo Amati nacque a Savignano sul Rubicone il 13 giugno del 1768, figlio di Pasquale Amati, letterato e studioso di storia locale, potè giovarsi fin dalla più tenera età dell'incitamento del padre e di una cerchia intellettuale volta agli studi di antiquaria di altissimo livello, come il coltissimo abate di Santarcangelo Gaetano Marini che lo accolse all'Archivio Vaticano come esperto di lingua greca negli anni della prima Repubblica Romana (1798-1800).
A Ferrara dove visse dal 1786 al '96 Girolamo Amati frequentò le illustri biblioteche e accademie della città estense, respirandone l'atmosfera ricca di memorie rinascimentali e c1assiciste. A Roma, dal 1799 insegnò lingua greca (succedendo al concittadino Amaduzzi) all' Archiginnasio della Sapienza, fu bibliotecario alla Ghigiana e scrittore di greco alla Vaticana. Nel 1810 ritornò a Savignano; rinunciò a importanti cariche preferendo rimanere tra i preziosi tesori della biblioteca e degli archivi vaticani. Tra i molto eruditi progetti nel campo degli studi di Amati da ricordare anche che scoprì in Dionigi di Alicamasso l'autore del Sublime fino ad allora attribuito a Longino; vale la pena aggiungere qualche parola riguardo a questa importante opera e riguardo alla non meno importante scoperta compiuta da Girolamo Amati.
La critica è concorde a collocare l’opera nella prima età imperiale.L’autore scrive il trattato per un nobile romano, ed esamina cosa sia lo stile sublime: si tratta di un brano che "induce a sentimenti e riflessioni più alte di quanto in esso è stato detto"; L'autore riteneva che la letteratura potesse modellare un’anima e che un’anima potesse riversare se stessa in un’opera d’arte. In questo modo, il trattato, non diventa solo uno scritto di indagine letteraria, ma anche di discussione etica, in quanto il sublime diviene il prodotto di una grande anima. Ciò allarga di molto la dimensione dell'opera; nata per confutare le teorie di un opuscolo di critica letteraria, finisce per inaugurare un’idea che investe non solo la letteratura, ma tutta l’estetica nel suo complesso. Egli supera le rigide norme di critica letteraria dei suoi tempi, che vedono la perfezione nello stile uniforme, senza cadute, che egli chiama mediocrità. Infatti l'autore ammira l'audacia del genio, che rischia, anche a costo di cadute (perdonabili), e riesce ad attingere le vette.
/testo/
Tornando a Girolamo Amati, egli inoltre rinvenne in alcuni fogli palinsesti della Malatestiana di Cesena un frammento apocrifo del Vangelo; scoprì per primo sul codice Vaticano Greco 1809 (appartenuto al celebre monastero di Grottaferrata) il significato e il valore delle note tachigrafiche (una sorta di stenografia dell'antichità).
Nello studio delle antiche epigrafi greche e romane cercava di ricostruire le facies dei popoli antichi. Fu uno dei fondatori dell'etruscologia Si occupò anche dello studio dell'antica letteratura provenzale.
Insieme a Bartolomeo Borghesi e Giulio Perticari nel 1801 fu fondatore dell'Accademia Rubiconia dei Filopatridi. Un suo discorso il 3 aprile 1801 inaugurò l'Accademia per cui stese le Tavole delle Leggi in latino arcaico, secondo lo stile dei giureconsulti romani.
Fu socio ordinario e quasi sempre ottenne la censura della pontificia Accademia romana di archeologia.
Leone XII lo nominò dottore del collegio filologico.
Per i suoi meriti culturali i pontefici Pio VI e Pio VII lo nominarono custode dell'Archivio segreto vaticano e di quello di Castel Sant'Angelo.
Morì il 15 aprile 1834, all'età di 65 anni, a Roma.
Come ritiene il Ricoglitore Italiano e straniero ossia Rivista mensuale europea di Scienze, Lettere, Belle Arti, Bibliografia e Varietà del 1834 "A ragione può egli qualificarsi uomo di antica sapienza e di antica virtù; uno dei migliori ingegni che abbia avuto la nostra età".
"SAVIGNANO CITTA' DI CULTURA: CONOSCIAMO I SUOI CITTADINI ILLUSTRI DEL PASSATO ANCHE A TTRA VERSO LE VIE E LE STRADE AD ESSI INTITOLATE".
Gli studenti interessati, nell' ambito della normale attività scolastica, svolgeranno studi e ricerche sul tema proposto, elaborati scritti ed eventuali disegni verranno esposti ed illustrati sabato 30 Maggio 2009 nel corso della manifestazione che si terrà alle ore 10,30 nell' arena Gregorini. Ci saranno presenti circa 250 studenti del Liceo.
Il Presidente del Centro Sociale, Roberto CAPANNI, nell' ambito dell' iniziativa, alla presenza delle Autorità scolastiche ed istituzionali, nonché delle famiglie degli studenti del Liceo Scientifico, porterà il saluto ai presenti, consegnerà una targa a ricordo della manifestazione alla scuola e lettori MP3 agli studenti che avranno realizzato studi ed elaborati sul tema proposto.
I ragazzi interessati hanno infatti realizzato degli elaborati a 11 personaggi cui sono intitolate altrettante vie di Savignano sul Rubicone: Borghesi, Perticari, Vendemini, Amati, Faberi, Gasperoni, padre De Lubelza, Rocchi, Nardi, Moroni, Barbaro.
Seguirà un piccolo rinfresco.
La Cittadinanza è invitata.
GIROLAMO AMATI
RELAZIONE DI DENNIS FAEDI, LICEO M.CURIE, CLASSE IVB
RELAZIONE DI DENNIS FAEDI, LICEO M.CURIE, CLASSE IVB
Girolamo Amati nacque a Savignano sul Rubicone il 13 giugno del 1768, figlio di Pasquale Amati, letterato e studioso di storia locale, potè giovarsi fin dalla più tenera età dell'incitamento del padre e di una cerchia intellettuale volta agli studi di antiquaria di altissimo livello, come il coltissimo abate di Santarcangelo Gaetano Marini che lo accolse all'Archivio Vaticano come esperto di lingua greca negli anni della prima Repubblica Romana (1798-1800).
A Ferrara dove visse dal 1786 al '96 Girolamo Amati frequentò le illustri biblioteche e accademie della città estense, respirandone l'atmosfera ricca di memorie rinascimentali e c1assiciste. A Roma, dal 1799 insegnò lingua greca (succedendo al concittadino Amaduzzi) all' Archiginnasio della Sapienza, fu bibliotecario alla Ghigiana e scrittore di greco alla Vaticana. Nel 1810 ritornò a Savignano; rinunciò a importanti cariche preferendo rimanere tra i preziosi tesori della biblioteca e degli archivi vaticani. Tra i molto eruditi progetti nel campo degli studi di Amati da ricordare anche che scoprì in Dionigi di Alicamasso l'autore del Sublime fino ad allora attribuito a Longino; vale la pena aggiungere qualche parola riguardo a questa importante opera e riguardo alla non meno importante scoperta compiuta da Girolamo Amati.
La critica è concorde a collocare l’opera nella prima età imperiale.L’autore scrive il trattato per un nobile romano, ed esamina cosa sia lo stile sublime: si tratta di un brano che "induce a sentimenti e riflessioni più alte di quanto in esso è stato detto"; L'autore riteneva che la letteratura potesse modellare un’anima e che un’anima potesse riversare se stessa in un’opera d’arte. In questo modo, il trattato, non diventa solo uno scritto di indagine letteraria, ma anche di discussione etica, in quanto il sublime diviene il prodotto di una grande anima. Ciò allarga di molto la dimensione dell'opera; nata per confutare le teorie di un opuscolo di critica letteraria, finisce per inaugurare un’idea che investe non solo la letteratura, ma tutta l’estetica nel suo complesso. Egli supera le rigide norme di critica letteraria dei suoi tempi, che vedono la perfezione nello stile uniforme, senza cadute, che egli chiama mediocrità. Infatti l'autore ammira l'audacia del genio, che rischia, anche a costo di cadute (perdonabili), e riesce ad attingere le vette.
/testo/
Tornando a Girolamo Amati, egli inoltre rinvenne in alcuni fogli palinsesti della Malatestiana di Cesena un frammento apocrifo del Vangelo; scoprì per primo sul codice Vaticano Greco 1809 (appartenuto al celebre monastero di Grottaferrata) il significato e il valore delle note tachigrafiche (una sorta di stenografia dell'antichità).
Nello studio delle antiche epigrafi greche e romane cercava di ricostruire le facies dei popoli antichi. Fu uno dei fondatori dell'etruscologia Si occupò anche dello studio dell'antica letteratura provenzale.
Insieme a Bartolomeo Borghesi e Giulio Perticari nel 1801 fu fondatore dell'Accademia Rubiconia dei Filopatridi. Un suo discorso il 3 aprile 1801 inaugurò l'Accademia per cui stese le Tavole delle Leggi in latino arcaico, secondo lo stile dei giureconsulti romani.
Fu socio ordinario e quasi sempre ottenne la censura della pontificia Accademia romana di archeologia.
Leone XII lo nominò dottore del collegio filologico.
Per i suoi meriti culturali i pontefici Pio VI e Pio VII lo nominarono custode dell'Archivio segreto vaticano e di quello di Castel Sant'Angelo.
Morì il 15 aprile 1834, all'età di 65 anni, a Roma.
Come ritiene il Ricoglitore Italiano e straniero ossia Rivista mensuale europea di Scienze, Lettere, Belle Arti, Bibliografia e Varietà del 1834 "A ragione può egli qualificarsi uomo di antica sapienza e di antica virtù; uno dei migliori ingegni che abbia avuto la nostra età".
sabato 4 aprile 2009
Dei delitti e delle pene, Cesare Beccaria, compito di filosofia al Liceo Scientifico M.Curie
A proposito dei dibattiti ultimamente insistenti sulla scena mondiale, tra abolizione della pena di morte in Nuovo Messico, voci di Amnesty e l'ultima relazione di BARNABA MAJ /Università di Bologna/ tenutasi al Liceo M.Curie in preparazione all'Esame di Stato, intitolata: I luoghi e i tempi dell'attesa
Condanna a morte ed esperienza della morte nella vita e opera di F.M. Dostoevskij, propongo un compito di filosofia di:
Alunno: Dennis Faedi Classe: IV B
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, La Spiga, Milano, 2001
Legge
«Tre sono le sorgenti dalle quali derivano i principii morali e politici, regolatori degli uomini: la rivelazione, la legge naturale, le convenzioni fattizie della società. Non vi è paragone tra la prima e le altre per rapporto al principale di lei fine: ma si assomigliano in questo, che conducono tutte e tre alla felicità di questa vita mortale».1
«Le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra, e di godere una libertà resa inutile dall'incertezza di conservarla. Essi ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità».2
«(...) le sole leggi possono decretare le pene su i delitti».3
«Non v'è cosa più pericolosa di quell'assioma comune che bisogna consultare lo spirito della legge».4
«Se l'interpretazione delle leggi è un male, egli è evidente esserne un altro l'oscurità che trascina seco necessariamente l'interpretazione [...] Da ciò veggiamo quanto sia utile la stampa che rende il pubblico, e non alcuni pochi, depositario delle sante leggi».5
«la ragione (...) dichiara inutili, e per conseguenza dannose, tutte le leggi che si oppongono ai naturali sentimenti dell'uomo»6
«Quali sono le vere e le più utili leggi? Quei patti e quelle condizioni che tutti vorrebbono osservare e proporre, mentre tace la voce, sempre ascoltata, dell'interesse privato, o si combina con quella del pubblico»7
«Siano (...) inesorabili le leggi»8
«[le] leggi (...) considerano tutti i sudditi come egualmente dipendenti da esse»9
«Se i censori, e in genere i magistrati arbitrarii, sono necessarii in qualche governo, ciò nasce dalla debolezza della sua costituzione, e non dalla natura di governo bene organizzato»10
«la legge che imprigiona i sudditi nel loro paese, è inutile ed ingiusta»11
Delitto
«[i] delitti (...) per meritar pena debbono essere certi»12
«la vera misura dei delitti (...) [è] il danno della società»13
«Alcuni delitti distruggono immediatamente la società, o chi la rappresenta, alcuni offendono la privata sicurezza di un cittadino nella vita, nei beni, o nell'onore, alcuni altri sono azioni contrarie a ciò che ciascuno è obbligato di fare o non fare in vista del ben pubblico.
Qualunque azione non compresa tra i due, sovraccennati limiti, non può essere chiamata delitto»14
«gli uomini non rischiano a proporzione del vantaggio che l'esito felice dell'impresa produrrebbe»15
«le distinzioni di grave e leggiero debbon fissarsi dalla cieca ed imparzial legge, non dalla pericolosa ed arbitraria prudenza dei giudici. Le fissazioni dei limiti sono così necessarie nella politica, come nella matematica, tanto nella misura del ben pubblico, quanto nella misura delle grandezze»16
Processo/prescrizione
«è necessario concedere al reo il tempo e i mezzi opportuni per giustificarsi»17
Tortura
«Le nostre leggi proscrivono le interrogazioni che chiamansi suggestive in un processo (...) è rimarcabile la contraddizione delle leggi, che unitamente a tale consuetudine autorizzano la tortura»18
«Una crudeltà, consacrata dall'uso della maggior parte delle nazioni, è la tortura del reo mentre si forma un processo»19
«l'impressione del dolore può crescere al segno che, occupandola tutta [la volontà], non lasci altra libertà al torturato, che di scegliere la strada più corta per il momento presente, onde sottrarsi alla pena[...]Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati, e di condannare i deboli innocenti»20
Misfatto/Pena
«la prontezza delle pene è più utile, perché quanto è minore la distanza del tempo che passa tra la pena ed il misfatto, tanto è più forte e più durevole nell'animo umano l'associazione di queste due idee, delitto e pena»21
«Un (...) principio serve mirabilmente a stringere sempre più l'importante connessione tra 'l misfatto e la pena; cioè, che questa sia conforme, quanto più si possa, alla natura del delitto»22
«più forti debbono essere gli ostacoli, che risospingono gli uomini dai delitti, a misura che sono contrari al ben pubblico, ed a misura delle spinte che ve li portano. Dunque vi deve essere proporzione fra i delitti e le pene»23
Pena
«Vi volevano de' motivi sensibili, che bastassero a distogliere il dispotico animo di ciascun uomo dal risommergere nell'antico caos le leggi della società. Questi motivi sensibili sono le pene stabilite contro agl'infrattori delle leggi»24
«una pena, accresciuta al di là del limite fissato dalle leggi, è la pena giusta, più un altra pena»25
«non v'ha dubbio che l'ignoranza e l'incertezza delle pene aiutino l'eloquenza delle passioni»26
«Io non trovo eccezione alcuna a quest'assioma generale: che ogni cittadino deve sapere quando sia reo o quando sia innocente»27
«Qual'è il fine politico delle pene? Il terrore degli altri uomini»28
«Il fine [delle pene] dunque non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni (...) e di rimuovere gli altri dal farne uguali.[...] Perché una pena ottenga il suo effetto, basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto»29
«Uno dei più grandi freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma la infallibilità di esse»30
Pena di morte
«La pena di morte fa un'impressione, che colla sua forza non supplisce alla pronta dimenticanza (...) le passioni violente sorprendono gli uomini, ma non per lungo tempo, e però sono atte a fare quelle rivoluzioni che di uomini comuni ne fanno de' Persiani o de' Lacedemoni; ma in un libero e tranquillo governo le impressioni debbono essere più frequenti che forti»31
«Non è utile la pena di morte, per l'esempio di atrocità che dà agli uomini»32
Collegamenti
Ho mirato dare un idea generale di questo libro e desideravo mettere in evidenza l'importanza delle sue affermazioni non tanto oggi quanto all'epoca della sua realizzazione. Ho dato un ordine progressivo alle parole chiave che ho selezionato, per cui dalla funzione delle leggi e dalle loro caratteristiche si passa alla messa in atto di un delitto, nelle sue varie tipologie, al processo e i metodi in cui esso si realizza, alla pena, in particolare quella di morte. Da notare l'attualità delle sue affermazioni, che fa di questo libro un capolavoro dell'epoca, e soprattutto le idee contenute in esso molte delle quali dovrebbero essere tutt'ora applicate per la l'analisi logica su cui si fondano, e per la comprensione della natura umana che denotano.
Condanna a morte ed esperienza della morte nella vita e opera di F.M. Dostoevskij, propongo un compito di filosofia di:
Alunno: Dennis Faedi Classe: IV B
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, La Spiga, Milano, 2001
Legge
«Tre sono le sorgenti dalle quali derivano i principii morali e politici, regolatori degli uomini: la rivelazione, la legge naturale, le convenzioni fattizie della società. Non vi è paragone tra la prima e le altre per rapporto al principale di lei fine: ma si assomigliano in questo, che conducono tutte e tre alla felicità di questa vita mortale».1
«Le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra, e di godere una libertà resa inutile dall'incertezza di conservarla. Essi ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità».2
«(...) le sole leggi possono decretare le pene su i delitti».3
«Non v'è cosa più pericolosa di quell'assioma comune che bisogna consultare lo spirito della legge».4
«Se l'interpretazione delle leggi è un male, egli è evidente esserne un altro l'oscurità che trascina seco necessariamente l'interpretazione [...] Da ciò veggiamo quanto sia utile la stampa che rende il pubblico, e non alcuni pochi, depositario delle sante leggi».5
«la ragione (...) dichiara inutili, e per conseguenza dannose, tutte le leggi che si oppongono ai naturali sentimenti dell'uomo»6
«Quali sono le vere e le più utili leggi? Quei patti e quelle condizioni che tutti vorrebbono osservare e proporre, mentre tace la voce, sempre ascoltata, dell'interesse privato, o si combina con quella del pubblico»7
«Siano (...) inesorabili le leggi»8
«[le] leggi (...) considerano tutti i sudditi come egualmente dipendenti da esse»9
«Se i censori, e in genere i magistrati arbitrarii, sono necessarii in qualche governo, ciò nasce dalla debolezza della sua costituzione, e non dalla natura di governo bene organizzato»10
«la legge che imprigiona i sudditi nel loro paese, è inutile ed ingiusta»11
Delitto
«[i] delitti (...) per meritar pena debbono essere certi»12
«la vera misura dei delitti (...) [è] il danno della società»13
«Alcuni delitti distruggono immediatamente la società, o chi la rappresenta, alcuni offendono la privata sicurezza di un cittadino nella vita, nei beni, o nell'onore, alcuni altri sono azioni contrarie a ciò che ciascuno è obbligato di fare o non fare in vista del ben pubblico.
Qualunque azione non compresa tra i due, sovraccennati limiti, non può essere chiamata delitto»14
«gli uomini non rischiano a proporzione del vantaggio che l'esito felice dell'impresa produrrebbe»15
«le distinzioni di grave e leggiero debbon fissarsi dalla cieca ed imparzial legge, non dalla pericolosa ed arbitraria prudenza dei giudici. Le fissazioni dei limiti sono così necessarie nella politica, come nella matematica, tanto nella misura del ben pubblico, quanto nella misura delle grandezze»16
Processo/prescrizione
«è necessario concedere al reo il tempo e i mezzi opportuni per giustificarsi»17
Tortura
«Le nostre leggi proscrivono le interrogazioni che chiamansi suggestive in un processo (...) è rimarcabile la contraddizione delle leggi, che unitamente a tale consuetudine autorizzano la tortura»18
«Una crudeltà, consacrata dall'uso della maggior parte delle nazioni, è la tortura del reo mentre si forma un processo»19
«l'impressione del dolore può crescere al segno che, occupandola tutta [la volontà], non lasci altra libertà al torturato, che di scegliere la strada più corta per il momento presente, onde sottrarsi alla pena[...]Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati, e di condannare i deboli innocenti»20
Misfatto/Pena
«la prontezza delle pene è più utile, perché quanto è minore la distanza del tempo che passa tra la pena ed il misfatto, tanto è più forte e più durevole nell'animo umano l'associazione di queste due idee, delitto e pena»21
«Un (...) principio serve mirabilmente a stringere sempre più l'importante connessione tra 'l misfatto e la pena; cioè, che questa sia conforme, quanto più si possa, alla natura del delitto»22
«più forti debbono essere gli ostacoli, che risospingono gli uomini dai delitti, a misura che sono contrari al ben pubblico, ed a misura delle spinte che ve li portano. Dunque vi deve essere proporzione fra i delitti e le pene»23
Pena
«Vi volevano de' motivi sensibili, che bastassero a distogliere il dispotico animo di ciascun uomo dal risommergere nell'antico caos le leggi della società. Questi motivi sensibili sono le pene stabilite contro agl'infrattori delle leggi»24
«una pena, accresciuta al di là del limite fissato dalle leggi, è la pena giusta, più un altra pena»25
«non v'ha dubbio che l'ignoranza e l'incertezza delle pene aiutino l'eloquenza delle passioni»26
«Io non trovo eccezione alcuna a quest'assioma generale: che ogni cittadino deve sapere quando sia reo o quando sia innocente»27
«Qual'è il fine politico delle pene? Il terrore degli altri uomini»28
«Il fine [delle pene] dunque non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni (...) e di rimuovere gli altri dal farne uguali.[...] Perché una pena ottenga il suo effetto, basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto»29
«Uno dei più grandi freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma la infallibilità di esse»30
Pena di morte
«La pena di morte fa un'impressione, che colla sua forza non supplisce alla pronta dimenticanza (...) le passioni violente sorprendono gli uomini, ma non per lungo tempo, e però sono atte a fare quelle rivoluzioni che di uomini comuni ne fanno de' Persiani o de' Lacedemoni; ma in un libero e tranquillo governo le impressioni debbono essere più frequenti che forti»31
«Non è utile la pena di morte, per l'esempio di atrocità che dà agli uomini»32
Collegamenti
Ho mirato dare un idea generale di questo libro e desideravo mettere in evidenza l'importanza delle sue affermazioni non tanto oggi quanto all'epoca della sua realizzazione. Ho dato un ordine progressivo alle parole chiave che ho selezionato, per cui dalla funzione delle leggi e dalle loro caratteristiche si passa alla messa in atto di un delitto, nelle sue varie tipologie, al processo e i metodi in cui esso si realizza, alla pena, in particolare quella di morte. Da notare l'attualità delle sue affermazioni, che fa di questo libro un capolavoro dell'epoca, e soprattutto le idee contenute in esso molte delle quali dovrebbero essere tutt'ora applicate per la l'analisi logica su cui si fondano, e per la comprensione della natura umana che denotano.
sabato 20 dicembre 2008
Dennis Faedi racconta de "I Presepi per le strade" di Gatteo
Quest'anno, come l'anno scorso, si rinnova l'iniziativa dei presepi per le strade di Gatteo. Per Natale infatti il paese si colora di alberelli, presepi e angioletti, non solo quelli che esponiamo noi fuori dalle nostre case, ma anche di quelli che questa iniziativa provvede a installare sul territorio pubblico o nelle vetrine di alcuni negozi. Non dovete pensare che a contribuire sia solo una cerchia ristretta di persone: l'iniziativa è aperta a tutti, grandi e piccoli.
Vengono usati materiali di riciclo come barattoli, ritagli di stoffa, di legno o di carta, ed il resto è affidato alla creatività dei produttori. Li potete trovare in piazza castello, nelle vetrine di via Garibaldi, all'istituto don Ghinelli, in piazza Vesi, nella rotonda di via Giovanni XXIII, ma anche in altri luoghi del paese. I presepi possono essere grandi o piccoli, classici o originali, riutilizzati o di nuova creazione: ma sono tutti frutto dell'impegno di queste persone che lavorano per dare un aria festiva al nostro paese. Ognuno da liberamente quello che può. La loro speranza è che le famiglie possano trascorrere allegramente le feste anche nel loro paese e che magari questi piccoli ma importanti simboli, che ricordano la venuta di Gesù in mezzo a noi, possano essere un motivo di unione per le famiglie (magari organizzando una visita pomeridiana a tutti i presepi) e uno stimolo a vivere questa importante festa come una vera comunità. Questa iniziativa riscuote interesse e il numero dei partecipanti aumenta. E che dire: un applauso virtuale a tutti e un augurio che questa iniziativa possa felicemente continuare negli anni avvenire!
Vengono usati materiali di riciclo come barattoli, ritagli di stoffa, di legno o di carta, ed il resto è affidato alla creatività dei produttori. Li potete trovare in piazza castello, nelle vetrine di via Garibaldi, all'istituto don Ghinelli, in piazza Vesi, nella rotonda di via Giovanni XXIII, ma anche in altri luoghi del paese. I presepi possono essere grandi o piccoli, classici o originali, riutilizzati o di nuova creazione: ma sono tutti frutto dell'impegno di queste persone che lavorano per dare un aria festiva al nostro paese. Ognuno da liberamente quello che può. La loro speranza è che le famiglie possano trascorrere allegramente le feste anche nel loro paese e che magari questi piccoli ma importanti simboli, che ricordano la venuta di Gesù in mezzo a noi, possano essere un motivo di unione per le famiglie (magari organizzando una visita pomeridiana a tutti i presepi) e uno stimolo a vivere questa importante festa come una vera comunità. Questa iniziativa riscuote interesse e il numero dei partecipanti aumenta. E che dire: un applauso virtuale a tutti e un augurio che questa iniziativa possa felicemente continuare negli anni avvenire!
giovedì 8 maggio 2008
Dennis Faedi-essere o non essere
Ritratto a carboncino fatto da Hanna
Essere ragazzi oggigiorno è quasi un'impresa!
Mentre la preadolescenza è la fase nella quale l'individuo comincia a subire le modifiche somatiche e psicologiche e a perdere le caratteristiche dell'infanzia, nell'adolescenza le fondamentali trasformazioni sono già avvenute. La sessualità ha raggiunto la forma alloerotica (cioè, bisogno del partner); il pensiero ha maturato le forme logiche, l'egocentrismo infantile è superato. Queste nuove strutture sono però appena abbozzate; ora hanno bisogno di essere consolidate. Ciò avviene nell'arco di tempo che va, approssimativamente, dai 15 ai 18 anni ma recentissimi studi americani dimostrano che l'età dello sviluppo del corpo avviene nella femmina non oltre gli 8350 giorni dalla nascita, nel maschio invece non oltre i 9700. La fragilità somatica e psicologia del soggetto, in questa fase, è evidente e facilmente spiegabile se si tiene conto del lavoro per il consolidamento delle sue strutture fisico-psichiche che in lui si va compiendo.
Altro aspetto dell'adolescenza è dato dall'esperienza che ora il soggetto va facendo degli schemi mentali di tipo logico-formale. Il tipo operatorio-concreto del pensiero del fanciullo (7/10 anni) non consente al soggetto di immaginare il possibile fuori degli schemi della realtà, cosi com'egli la vive e la sperimenta. Per il fanciullo il possibile è solo ciò che non è ancora avvenuto ma può avvenire. Il pensiero logico-formale consente invece di concepire il possibile come ciò che non è contraddittorio. Mentre il fanciullo lavora di fantasia, ma il suo mondo fantastico è legato alla realtà delle cose concrete, si tratti pure di eroi spaziali o di mostri metà animali e metà uomini, il mondo fantastico dell'adolescente è costituito da ipotesi sociali, etiche, politiche, ecc., non reali, ma logicamente realizzabili.
Vi è un egocentrismo tipico dell'adolescente dato dalla tendenza a rinchiudersi in questo mondo fantastico, che lo può portare a grandi mete, ma anche ad aspre delusioni. Cronologicamente questa fase si colloca nella tarda adolescenza e nella prima giovinezza, tra i 16/17 anni e i 22/23 anni per la femmina e tra i 17/18 e i 25/26 per il maschio. Connesso con lo sviluppo del pensiero logico-formale vi è pure la maturazione degli schemi sociali.
fonte Wikipedia
venerdì 18 aprile 2008
CERCASI UN SENSO
CERCASI UN SENSO...APPASSIONATAMENTE!
Ovvero lo studio come occasione di felicità
Sabato 5 aprile 2008 un piccolo gruppo di studenti (prevalentemente delle medie), tra cui anche alcuni di noi gatteesi su invito della Silvana, si è riunito nella sala Einaudi di Cesena per discutere con due docenti e uno studente universitario su un tema apparentemente scontato ma che in realtà ha colpito un po tutti noi presenti. Chi di noi infondo non cerca il senso della propria esistenza?Chi di noi non tenta di capire qual'è il suo posto nell'immenso mosaico che è la storia del mondo? Ognuno di noi ha un “talento” che influenza le proprie scelte di vita e che non è fine a se stesso ma può essere uno strumento per una sola o per altre migliaia di persone. Il problema è che molti di noi non sanno come cercarlo e si perdono nei piccoli piaceri temporanei senza dare una direzione al proprio cammino e senza impegnarsi fino in fondo in ciò che fanno. Solo con l'impegno e con una ricerca continua è possibile capire per cosa siamo fatti veramente e spesso l'aiuto di persone che hanno trovato ciò può incentivare la nostra ricerca che deve essere fatta di molteplici esperienze vissute con pienezza e con dedizione, poiché solo provando fino in fondo possiamo avere un giudizio completo e scegliere con maggiore consapevolezza la via da seguire. La scuola deve essere il primo luogo in cui questo deve avvenire e perciò viverla nella sua pienezza è importante, poiché le vie che essa apre sono innumerevoli ma sta a noi percorrerle e scegliere quella che ci porta all'apice delle nostre possibilità. Inoltre è indispensabile l'aiuto dei nostri compagni poiché anche essi possono comunicarci le loro esperienze con una sensibilità simile alla nostra.
Troviamo un riscontro della nostra esperienza anche nelle parole di Margaret Cho “Because we are all what we choose” (Noi siamo tutto ciò che scegliamo) ovvero la nostra vita è determinata quasi del tutto dalle nostre scelte.
Dennis Faedi
Ovvero lo studio come occasione di felicità
Sabato 5 aprile 2008 un piccolo gruppo di studenti (prevalentemente delle medie), tra cui anche alcuni di noi gatteesi su invito della Silvana, si è riunito nella sala Einaudi di Cesena per discutere con due docenti e uno studente universitario su un tema apparentemente scontato ma che in realtà ha colpito un po tutti noi presenti. Chi di noi infondo non cerca il senso della propria esistenza?Chi di noi non tenta di capire qual'è il suo posto nell'immenso mosaico che è la storia del mondo? Ognuno di noi ha un “talento” che influenza le proprie scelte di vita e che non è fine a se stesso ma può essere uno strumento per una sola o per altre migliaia di persone. Il problema è che molti di noi non sanno come cercarlo e si perdono nei piccoli piaceri temporanei senza dare una direzione al proprio cammino e senza impegnarsi fino in fondo in ciò che fanno. Solo con l'impegno e con una ricerca continua è possibile capire per cosa siamo fatti veramente e spesso l'aiuto di persone che hanno trovato ciò può incentivare la nostra ricerca che deve essere fatta di molteplici esperienze vissute con pienezza e con dedizione, poiché solo provando fino in fondo possiamo avere un giudizio completo e scegliere con maggiore consapevolezza la via da seguire. La scuola deve essere il primo luogo in cui questo deve avvenire e perciò viverla nella sua pienezza è importante, poiché le vie che essa apre sono innumerevoli ma sta a noi percorrerle e scegliere quella che ci porta all'apice delle nostre possibilità. Inoltre è indispensabile l'aiuto dei nostri compagni poiché anche essi possono comunicarci le loro esperienze con una sensibilità simile alla nostra.
Troviamo un riscontro della nostra esperienza anche nelle parole di Margaret Cho “Because we are all what we choose” (Noi siamo tutto ciò che scegliamo) ovvero la nostra vita è determinata quasi del tutto dalle nostre scelte.
Dennis Faedi
lunedì 17 marzo 2008
Un Prodigio a Gatteo
Un Prodigio a Gatteo?
Sappiamo per certo che nel 1890 la chiesa della Beata Vergine del Popolo nella parrocchia di San Lorenzo era “in stato miserabile, ma con statue abbastanza belle”: Immacolata in stucco, Madonna del Santo Rosario in legno e la insigne statua della Beata Vergine del Popolo. Ma ciò che colpisce maggiormente è la mancanza del quadro della Beata Vergine detta di San Luca, che, secondo alcuni documenti dell'archivio parrocchiale, avrebbe compiuto un mirabile prodigio nell'agosto del 1850: testimoni ebbero modo di vedere “il portentoso muovere gli occhi dell'immagine della Beata Vergine, separatamente o simultaneamente”. Presto venne istituita una speciale commissione su disposizione del vescovo di Cesena la quale interrogò simultaneamente tutti i testimoni dell'avvenimento, per verificare in modo più preciso la validità delle testimonianze tramite il loro confronto. I testimoni dell'avvenimento, inoltre, inviarono al vescovo dei quaderni che chiarivano in ogni dettaglio la questione. Ma di tutto ciò non si seppe più nulla. Vi fu un solo accenno a questo fatto durante la visita pastorale di mons. Giovanni Cazzani nel 1905.
Dennis Faedi
/dalla Gazzetta Parrocchiale di Gatteo/
domenica 2 marzo 2008
Video del festival di Gatteo
Questo video è costruito di 5 spezzoni del video originale della prima serata.
Sono in ordine: l'inizio del festival cantato da bambini della scuola elementare sorretti da G.Tommassini, due canzoni cantate da "emergenti" e uno sketch molto divertente eseguito da Dennis e Tommaso, e infine le premiazioni.
YOUTUBE video dello sketch di Faedi Dennis
mercoledì 27 febbraio 2008
A Gatteo si canta
Dennis Faedi canta "Per averti" di Adriano Celentano.
(la fotografia è del 2000) Al teatro di L.Pagliughi il festival di Gatteo continua...
con tantissimi sponsor e nuove star del palco.
Come tutti gli anni chi contribuisce alla realizzazione della gara canora è il Comune di Gatteo, Banca BCC, dottoressa Arrigoni-Broccoli, Gardini, Calandrini, AmericanBar, ristorante-pizzeria "La Vecchia Officina" e tantissimi altri imprenditori.
Il DVD della serata si può prenotare alla cassa il giorno del concerto.
Buon divertimento!
martedì 12 febbraio 2008
Un Gatteese sulla copertina di People
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