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sabato 25 settembre 2010

Gelsomino Notturno di Pascoli

E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s'esala
l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento . . .
È l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.

LA PARAFRASI, ANALISI E COMMENTO

Parafrasi
I gelsomini notturni, detti anche “le belle di notte”, aprono i loro fiori al calar della sera. Anche le farfalle del crepuscolo iniziano il loro volo nelle ore della notte. E' di sera che si rivolge il pensiero a chi dorme di sonno eterno.
Tutto tace: insieme alla notte è calato il silenzio: solo in una casa ancora si veglia: i rumori sommessi, che ne provengono, non turbano la pace notturna, paiono un bisbiglio di voci.
Dai calici aperti dei fiori di gelsomino esala un profumo che fa pensare all’odore di fragole rosse.
Mentre nella casa palpita ancora la vita e una luce splende nella sala, l’erba cresce sulle fosse dei morti.
Un’ape, che si è attardata nel volo, trova tutte occupate le cellette del suo alveare. La costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo azzurro e il tremolio della sua luce richiama alla mente l’immagine di una piccola chioccia circondata dai suoi pulcini, intenti a pigolare.
Per tutta la notte esala il profumo dei gelsomini. La luce accesa nella casa sale su per la scala, brilla al primo piano e si spegne . E’ chiara l’allusione agli sposi che si uniscono nell’oscurità. Al sopraggiungere dell’alba si chiudono i petali e il fiore “cova” “nell’urna molle e segreta” “non so che felicità nuova”. Il poeta allude al germogliare di una nuova vita nel grembo della sposa, ora madre.
Nel sottofondo ci potrebbe essere un richiamo erotico perchè, come dice Suskind: "il fior di gelsomino al levar del sole perde il suo profumo"....cioè la notte tenera è sfruttata e goduta...al mattino la donna è sgualcita e sazia.
Durante la notte pare, il tutto si rinnova. Germoglia un figlio e i morti dormono in pace.

Analisi e commento

Da un punto di vista metrico la lirica è composta di sei quartine di versi novenari a rima alternata. “Va sottolineata la differenza di ritmo che si instaura tra i versi che pure sono uguali (novenari); in ogni strofe i primi due novenari hanno un ritmo incalzante, concitato, ascendente, con quell’impennata prodotta soprattutto dall’accento sulla seconda sillaba e poi sulla quinta e sull’ottava. Gli ultimi due sono caratterizzati da un ritmo discendente, fortemente pausato nel mezzo con accento sulla terza, quinta e ottava sillaba. A proposito di questa alternanza ritmica il Vicinelli ha osservato che “nella movenza impennata dei primi due versi Il Pascoli ha rinvenuto il grafico, l’immediata significazione musicale dell’aggressività con cui la natura e la notte stringono l’assedio dei loro inviti d’amore. Negli ultimi due con quel gorgo lento che la sosta centrale produce ha trasfuso un crollare smemorato e blando.”lato sinistro casa pascoli
Il poeta, immerso in un’atmosfera di trepidazione e indefinibile smarrimento coglie il mistero che palpita nelle piccole cose della natura. Si accorge che la notte, quando tutto intorno è pace e silenzio, vi sono fiori che si aprono e farfalle che volano. Una vita inizia quando la vita consueta cessa. L’ora della vita notturna è anche un’ora di malinconia per il poeta che pensa ai suoi morti.
Da un ossimoro, da una compresenza di termini antitetici, prende avvio la lirica, in cui i simboli di morte si rovesciano in simboli di vita come nel verso “nasce l’erba sopra le fosse”
Avvolge la notte un senso di silenzio, cui si contrappone il misterioso agitarsi della vita “là” nella casa: Il bisbiglio desta fascino e curiosità: “è indice di una presenza umana che si accorda con l’atmosfera di arcani silenzi e di attese della lirica”
Nei versi successivi appare l’immagine dei nidi in cui i piccoli dormono sotto le ali della madre. Affiora l’idea rassicurante del nido, tema caro al poeta e messo in rilievo dalla critica recente.
La musicalità dei versi crea un’eco suggestiva, un’atmosfera sospesa, incantata, di seduzione, di fascino, di veglia, contrapposta al torpore e al sonno.
Fonagy sottolinea come “cullando coi suoni” il testo indirizzi verso qualcosa che va oltre il testo, verso l’inesprimibile. Gioanola, riprendendo questa affermazione e l’indagine sui significanti nella poesia di Pascoli condotta da Beccaria, giunge alle estreme conseguenze, e nota in un suo saggio come la casa del Gelsomino notturno sia collocata “là”: il nesso liquida + a, nella forma la, ricorre per ben 16 volte nel testo. Ne deriva un sentimento di esclusione del poeta, che di fronte al tema dell’eros, avverte al contempo turbamento e fascino, attrazione e repulsione, come dinanzi a una condizione a lui preclusa. Già Chimenez aveva letto la lirica nella direzione della frustrazione erotica pascoliana, del represso sensualismo del poeta.
Nella sinestesia “l’odore di fragole rosse”, in cui il profumo, una percezione olfattiva, sembra acuito dal colore rosso delle fragole, percezione visiva, è evidente il tema dell’attrazione, della tentazione sensuale che si accosta nei versi successivi al risplendere della luce nella sala,alla curiosità per la vicenda degli sposi. Ma su tutto si diffonde un senso di mistero per il compenetrarsi inesplicabile di vita e morte: “nasce l’erba sopra le fosse”.
L’ape, che, essendosi attardata, trova già prese le celle del suo alveare, potrebbe allora tradurre in immagine il senso di esclusione che il poeta, incuriosito dall’eros, avverte rispetto alla propria famiglia di origine. Ma subito ricompaiono immagini rassicuranti di nido. Le Pleiadi nel cielo appaiono per un procedimento analogico come una chioccetta, che in un’aia si trascina dietro la covata dei suoi pulcini e il pigolio potrebbe offrirsi come una sinestesia che trasferisce nella percezione uditiva la percezione visiva del tremolio della luce stellare.
All’intenso odore del fiore che passa col vento si accompagna il salire della luce lungo la scala e il suo spegnersi al primo piano con i puntini di sospensione che seguono e alludono al congiungersi degli sposi, ma soprattutto al mistero della vita che continua a palpitare nel buio.
La lirica si chiude nuovamente con un ossimoro: “E’ l’alba”, il momento del risveglio, e “si chiudano i petali un poco gualciti. “Nell’urna molle e segreta”, che simbolicamente rappresenta il grembo della madre, si dischiude una nuova vita, si cova “non so che felicità nuova”. Scrive Vincelli “E’ qui il segreto di questa poesia, che si è detto valere, sì, per se stessa, ma che ben più ci stupisce e incanta nella rivelazione di un mirabile, sfumato, purissimo simbolo, nel segreto di un miracolo notturno, di un altro gelsomino che si apre e che, come l’erba silenziosa sopra le fosse, va segretamente dal mistero del nulla verso la vita. In quel dolce silenzio, in quell’ombra profumata quasi dalla passione del fiore, quando anche quell’ultimo lume è spento, ha cominciato a germinare una nuova vita, che come dentro l’urna segreta del fiore notturno, su cui a mattina si chiudono i petali un poco gualciti, prepara una felicità nuova: la maternità e la novella vita”.

nella foto in basso casa pascoli

domenica 10 maggio 2009

La voce, Pascoli per la madre

Canti di Castelvecchio
Continua il dialogo del poeta con la madre. La bellissima poesia La voce è dedicata al richiamo che il poeta sente dentro di sé, che all'occorrenza gli viene in soccorso e già un tempo lo ha fatto desistere dal progetto di suicidarsi dal ponte sul fiume Reno, vicino a Bologna. «Zvani» è il diminutivo in dialetto romagnolo di “Giovannino”. Quand’era piccolo, questa voce coccolava il poeta, lo cullava e lo pregava di vivere e di essere buono.


La voce

C'è una voce nella mia vita,
che avverto nel punto che muore;
voce stanca, voce smarrita,
col tremito del batticuore:
voce d'una accorsa anelante,
che al povero petto s'afferra
per dir tante cose e poi tante,
ma piena ha la bocca di terra:
tante tante cose che vuole
ch'io sappia, ricordi, sì... sì...
ma di tante tante parole
non sento che un soffio... Zvanî...
Quando avevo tanto bisogno
di pane e di compassione,
che mangiavo solo nel sogno,
svegliandomi al primo boccone;
una notte, su la spalletta
del Reno, coperta di neve,
dritto e solo (passava in fretta
l'acqua brontolando, Si beve?);
dritto e solo, con un gran pianto
d'avere a finire così,
mi sentii d'un tratto daccanto
quel soffio di voce... Zvanî...
Oh! la terra, com'è cattiva!
la terra, che amari bocconi!
Ma voleva dirmi, io capivo:
- No... no... Di' le devozioni!
Le dicevi con me pian piano,
con sempre la voce più bassa:
la tua mano nella mia mano:
ridille! vedrai che ti passa.
Non far piangere piangere piangere
(ancora!) chi tanto soffrì!
il tuo pane, prega il tuo angelo
che te lo porti... Zvanî... -
Una notte dalle lunghe ore
(nel carcere!), che all'improvviso
dissi - Avresti molto dolore,
tu, se non t'avessero ucciso,
ora, o babbo! - che il mio pensiero,
dal carcere, con un lamento,
vide il babbo nel cimitero,
le pie sorelline in convento:
e che agli uomini, la mia vita,
volevo lasciargliela lì...
risentii la voce smarrita
che disse in un soffio... Zvanî...

Oh! la terra come è cattiva!
non lascia discorrere, poi!
Ma voleva dirmi, io capivo:
- Piuttosto di' un requie per noi!
Non possiamo nel camposanto
più prendere sonno un minuto,
ché sentiamo struggersi in pianto
le bimbe che l'hanno saputo!
Oh! la vita mia che ti diedi
per loro, lasciarla vuoi qui?
qui, mio figlio? dove non vedi
chi uccise tuo padre... Zvanî?... -
Quante volte sei rivenuta
nei cupi abbandoni del cuore,
voce stanca, voce perduta,
col tremito del batticuore:
voce d'una accorsa anelante
che ai poveri labbri si tocca
per dir tante cose e poi tante;
ma piena di terra ha la bocca:
la tua bocca! con i tuoi baci,
già tanto accorati a quei dì!
a quei dì beati e fugaci
che aveva i tuoi baci... Zvanî!...
che m'addormentavano gravi
campane col placido canto,
e sul capo biondo che amavi,
sentivo un tepore di pianto!
che ti lessi negli occhi, ch'erano
pieni di pianto, che sono
pieni di terra, la preghiera
di vivere e d'essere buono!
Ed allora, quasi un comando,
no, quasi un compianto, t'uscì
la parola che a quando a quando
mi dici anche adesso... Zvanî...


Si. Madre è la voce, è la coscienza, il ricordo.
Madre è la terra, la radice, che ci tiene saldi su questo mondo.
Se non fosse per la madre...

lunedì 4 maggio 2009

Poesia per la festa della mamma di Ungaretti

A MIA MADRE
E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro



Tutto sulla festa della mamma

giovedì 8 gennaio 2009

Le rondini, Giovanni Pascoli

LE RONDINI

E per nove anni egli aspettò la morte
che fuor del mare gli dovea soave
giungere; e sì, nel decimo, su l'alba,
giunsero a lui le rondini, dal mare.
Egli dormia sul letto traforato
cui sosteneva un ceppo d'oleastro
barbato a terra; e marinai sognava
parlare sparsi per il mare azzurro.
E si destò con nell'orecchio infuso
quel vocìo fioco; ed ascoltò seduto:
erano rondini, e sonava intorno
l'umbratile atrio per il lor sussurro.
E si gittò sugli Omeri le pelli
caprine, ai piedi si legò le dure
uose bovine: e su la testa il lupo
facea nell'ombra biancheggiar le zanne.
E piano uscì dal talamo, non forse
udisse il lieve cigolio la moglie;
ma lei teneva un sonno alto, divino,
molto soave, simile alla morte.
E il timone staccò dal focolare,
affumicato, e prese una bipenne.
Ma non moveva il molto accorto al mare,
subito, sì per colli irti di quercie,
per un vïotterello aspro, e mortali
trovò ben pochi per la via deserta;
e disse a un mandriano segaligno,
che per un pioppo secco era la scure;
e disse ad una riccioluta ancella,
che per uno stabbiolo era il timone:
così parlava il tessitor d'inganni,
e non senz'ali era la sua parola.
E poi soletto deviò volgendo
l'astuto viso al fresco alito salso.
Le quercie ai piedi gli spargean le foglie
roggie che scricchiolavano al suo passo.
Gemmava il fico, biancheggiava il pruno,
e il pero avea ne' rosei bocci il fiore.
E di su l'alto Nerito il cuculo
contava arguto il su e giù de l'onde.
E già l'Eroe sentiva sotto i piedi
non più le foglie ma scrosciar la sabbia;
né più pruni fioriti, ma vedeva
i giunchi scabri per i bianchi nicchi;
e infine apparve avanti al mare azzurro
l'Eroe vegliardo col timone in collo
e la bipenne; e l'inquieto mare,
mare infinito, fragoroso mare,
su la duna lassù lo riconobbe
col riso innumerevole dell'onde.

ps. A San Mauro Pascoli la scuola d'infanzia ha nome de"Le Rondini"

venerdì 12 dicembre 2008

Vu cumpra, poesia di Amos Piccini in dialetto romagnolo

VU CUMPRA'
T è slunghè la mèna
e a t'ho guardè un pò stòrt
perchè a s'era cunvint
che t vulés la carità.
Invece t zarchevte sna
un cincin d'amicizia,
una parola bòna
ch'l'an fòs ad cumpasioun.
T'avevte vsèina i pid
una ligaza pina ad cianfrusaj
e int i ècc'una gran disperazioun.
Alora ho zarchè ad capì
cus che patés un òm
- ch'l'ha ènca la pèla nera
­da lòng dè su paes:
è zcar un'èlta lèngua,
u n'ha da lavurè,
e quel ch'l'è ancora pèz
un sa cume campè.
Dal nosti pèrti ù
it cèma ''Vu cumprà"
e sa cal dò paroli
i t'ha zà liquidè.
Ma ades per nun cris-cènt
ci dvèint una gròsa quis-cioun:
perchè la nòsta fèda
l'as dis che t ci un fradèl.
1988
Uomini e animali di GF Zavalloni

VU CUMPRA'

Hai allungato la mano
e ti ho guardato con sospetto
perché ero convinto
che volessi l'elemosina.
Invece cercavi solo
un briciolo d'amicizia,
una parola buona
che non fosse di compassione.
A vevi vicino ai piedi
un fagotto pieno di cianffusaglie
e negli occhi
una gran disperazione.
Allora ho cercato di capire
cosa patisce un uomo
- che ha anche la pelle nera ­
lontano dal suo paese:
parla un'altra lingua,
non ha da lavorare
e quel che é ancora peggio
non sa come campare.
Dalle nostre parti
ti chiamano ''Vu cumprà"
e con quelle due parole
ti hanno già liquidato.
Ma adesso per noi cristiani
sei diventato un grosso problema:
perché la nostra fede
ci dice che sei un fratello.

martedì 9 dicembre 2008

La Befana di Giovanni Pascoli

La Befana

Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.
Che c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?
Guarda e guarda...tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
guarda e guarda...ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini.
Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale;
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? Chi mai scende?
Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?
Guarda e guarda... tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra la cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti...
E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila...
Veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride;
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sull’aspro monte.

domenica 9 novembre 2008

La notte dei morti, Pascoli nella rubrica del Gazzettino di Gatteo

Il Cimitero della Recoleta è il più famoso cimitero storico argentino e prende il nome dal quartiere di Buenos Aires nel quale si estende.


Tristezze

LA NOTTE DEI MORTI

La casa è serrata; ma desta:
ne fuma alla luna il camino.
Non filano o torcono: è festa.
Scoppietta il castagno, il paiolo
borbotta. Sul desco c'è il vino,
cui spilla il capoccio da solo.
In tanto essi pregano al lume
del fuoco: via via la corteccia
schizza arida... Mormora il fiume
con rotto fragore di breccia...
È forse (io non odo: non sento
che il fiume passare, portare
quel murmure al mare) d'un lento
vegliardo la tremula voce
che intuona il rosario, e che pare
che venga da sotto una croce,
da sotto un gran peso; da lunge
Quei poveri vecchi bisbigli
sonora una romba raggiunge
col trillo dei figli de'figli.
Oh! i morti! Pregarono anch'essi,
la notte dei morti, per quelli
che tacciono sotto i cipressi.
Passarono... O cupo tinnito
di squille dagli ermi castelli!
o fiume dall'inno infinito!
Passarono... Sopra la luna
che tacita sembra che chiami,
io vedo passare un velo, una
breve ombra, ma bianca, di sciami.

lunedì 7 aprile 2008

X Agosto, poesia di Pascoli, youtube


Il 10 agosto, S.Lorenzo è la festa patronale di Gatteo.CLICCA QUI PER IL PROGRAMMA DELLA FESTA 8 - 10 AGOSTO 2009

NOTTE DI SAN LORENZO

10 agosto 1867 uccisero il padre di G.Pascoli, Ruggero, e per ricordare l'evento Zvani scrisse questa poesia struggente:

X AGOSTO

San Lorenzo , io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!

Beh, oggi a Gatteo, nella notte di San Lorenzo fanno il pianto di fuochi artificiali.

Analisi della poesia 10 agosto

Questa poesia rievoca uno degli eventi più dolorosi della vita di Pascoli. Attraverso essa il poeta, infatti, vuole comunicare al lettore la sua tristezza per la scomparsa del padre assassinato e la accentua mettendo a confronto una rondine abbattuta col cibo nel becco per i suoi rondinini comee il padre che ritornava a casa portando due bambole alle figlie, in modo tale da sottolineare l’ingiustizia e il male che prevalgono su questa terra .
Il nido e la casa, per di più svolgono il ruolo di metafora degli unici rapporti d'amore possibili in un mondo d'insidie e di contrasti.
A partecipare a questa tragica situazione vi è, non solo Pascoli in persona, ma anche il Cielo che con, appunto, la notte di San Lorenzo famosa per il fenomeno delle stelle cadenti, raffigura il pianto.
Successivamente la figura del cielo si contrappone a quella della terra. Il cielo è infinito, immortale, immenso, mentre la terra non è altro che un piccolo atomo di dolore.
In conclusione, secondo Pascoli, il cielo di fronte a questo fatto triste invade la terra con un pianto di stelle.
Il nido che intendeva Pascoli era il nucleo familiare, la protezione dei conoscenti più stretti dove ogni uomo può rifugiarsi. Nella poesia il nido è evidenziato bene perché, oltre al padre che tornava alla propria casa, c’è un paragone con una rondine che torna al suo “nido” ; ma entrambi sono aspettati invano dai familiari: questi versi sono, secondo me molto autobiografici perché descrivono una sensazione che lui ha provato veramente. Subentra in questo tema, anche l’amore familiare, la tenerezza e la gioia di un padre che torna a casa con doni, ma per Pascoli, quella sera, c'è stata una mancanza, una delusione, che si riflette sul suo senso di giustizia e nel mistero del male.

martedì 1 aprile 2008

Il lampo / Pascoli Giovanni

Il lampo

E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tragico tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo esterefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera.


ANALISI E COMMENTO
In questa poesia Pascoli parla di un lampo che rompe il silenzio e la notte con una luce violenta tale che mette a nudo la vera realtà del mondo: la sua tragicità e il caos che la contraddistingue.
La sua stessa casa è scossa dalla forza del lampo e, agli occhi del Pascoli, perde almeno in parte la sicurezza e il senso di protezione che aveva fino ad un momento prima anche se rimane connotata positivamente dal colore bianco in antitesi con il nero circostante.
Ed in questa situazione d’angoscia e paura Pascoli sente la sua vita in bilico tra il voler restare in un “nido” ormai distrutto e l’affrontare una vita piena d’inganni.

In questa poesia viene descritta la casa attraverso il colore bianco, per segnarne l'aspetto positivo come rifugio di fronte al temporale. Alla casa e al colore bianco che la differenzia, si contrappone il nero della notte con sensazioni opposte di paura e angoscia. La descrizione della casa accerchiata dal nero della notte durante un temporale con le sensazioni di paura e di terrore che gli vanno dietro, si trova anche nel "Temporale” sempre dello stesso autore.
La natura confusa dal temporale, il lampo illumina la notte, scoprendo cielo e terra, mostrando d'un tratto una casa nel buio. Viene messo in evidenza l'effetto visivo del lampo, come un'improvvisa apparizione della percezione illusoria e dell'angoscia e la percezione del dolore.
All'inizio della poesia, cielo e terra compaiono legati, ma nel secondo verso, tra di loro si avverte una rottura.
La casa è un posto sicuro, racchiuso in un momento di stabilità nello sconvolgimento della natura e del paesaggio. Esso è breve, in quanto dura solo per un istante e poi sparisce nell'oscurità. Essa viene paragonata ad un occhio che si apre e si chiude per ricevere una tragica realtà, e mostra lo stupore ed il timore per la natura
I tre aggettivi, presenti nei versi due e tre, sono la proiezione dello stato d'animo dell'autore. Questi aggettivi danno vita ad un climax ascendente che conferisce alla realtà un clima più umano e sconvolto: tormentato, triste.
In questa poesia domina il senso visivo; le altre immagini sono utilizzate per dare una rappresentazione umana e psicologica della natura.

venerdì 21 marzo 2008

Versi Pasquali di Giovanni Pascoli


GESU'
E Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
campagne sotto il mietitor rimorte,
il suo giorno non molto era lontano.
E stettero le donne in sulle porte
delle case, dicendo: Ave, Profeta!
Egli pensava al giorno di sua morte.
Egli si assise, all'ombra d'una mèta
di grano, e disse: Se non è chi celi
sotterra il seme, non sarà chi mieta.
Egli parlava di granai ne' Cieli:
e voi, fanciulli, intorno lui correste
con nelle teste brune aridi steli.
Egli stringeva al seno quelle teste
brune; e Cefa parlò: Se costì siedi,
temo per l'inconsutile tua veste;
Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:
-Il figlio_ Giuda bisbigliò veloce-
d'un ladro, o Rabbi, t'è costì tra 'piedi:
Barabba ha nome il padre suo, che in croce
morirà.- Ma il Profeta, alzando gli occhi
-No-, mormorò con l'ombra nella voce,
e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.

Giovanni Pascoli

giovedì 20 marzo 2008

Pasqua, giornata mondiale della poesia

La Giornata Mondiale della Poesia Si celebra il 21 marzo in Italia e in tutti gli Stati membri dell’UNESCO, una manifestazione che quest’anno assume un significato ancora più importante, data la coincidenza dell’evento con l’Anno internazionale delle lingue, proclamato dalle Nazioni Unite.
La voce irripetibile
La voce irripetibile ieri è ammutolita.
Chi parlava alla machia ci ha lasciati.
Si è mutato nella spiga che vivifica
nell'esile pioggia da lui cantata.
E tutti i fiori che nel mondo esistono
per questa morte sono sbocciati.
Ma all'improvviso il silenzio è sceso
su un povero pianeta detto Terra.
Anna Achmatova

Questa sopra è la copertina e una delle poesie dell'Antologia realizzata per l'occasione dalla Profesoressa Loretta Buda dell'Istituto Comprensivo di Gatteo.
Quel libricino ho ricevuto durante un altro evento poetico a Gatteo, di specifico una serata nel"La Vecchia Officina" ascoltando delle poetesse locali a recitare le loro poesie.
Il tutto a ritmo del FingerBuffet.
Non sono ancora riuscita a comprendere come mai una serata intellettuale abbia da essere tale con le mani sporche di sugo, olio, vino, bocche piene e pance ruminanti. E non solo in questa occasione....

martedì 18 marzo 2008

Poesie di Hanna/Atomica

Schiele-selfportrait with outstretched armsSchiele-selfportrait with outstretched arms

Da tutte le vostre vite
imparerò la mia,
dalle vostre morti
capirò meglio me stessa
di tutte vostre idee, amori,
pensieri, arti, dolori,
costruirò la vita,
la mia,
Quanto grande sarà?
la farò rotonda, si,
come il mondo,
smossa dall'incitare roboante,
rotoloni
non si fermerà più.
Da tutte le vostre vite imparerò la mia.



Traduzione della poesia

domenica 9 marzo 2008

Ti amo/poesia di Hanna


TI AMO
in due sole parole
puoi generare il sole
partire per un viaggio
termine dentro di te
arrivi a subire
ascoltare
immaginare
bastano due parole
per concepire un uomo
firmare una condanna
inventare memorie
ti amo
per denudare il corpo
e toccare l'anima
in due sole parole
puoi racchiudere una vita

giovedì 3 gennaio 2008

Dediche- poesie di Hanna

Mi è arrivato oggi il libro stampato a San Remo dalla casa editrice Vitale Edizioni, redatto e con la prefazione della dott.Silvia Denti . A pagina 109 troviamo una mia poesia dedicata a mio figlio intitolata "Non piangere"



La cito qui intera:

NON PIANGERE

Un giorno
Seminerai il mio corpo
Nella terra
Umida di lacrime
Riscaldata dell' alito caldo di preghiere
Ad un Dio d'incongruo valore
Vi crescerà una verticale sorta d'amore
A sostenere i cieli per me.
Allora sarò laddove non sono mai stata
Nel tuo cuore crudo
Nelle promesse, nei rimpianti
Tanti "se" e tanti "ma"
Progenie di vita sospesa
Nella tua mente sarò più viva di prima
Tra di noi interprete la morte
Fidati di me
E non piangere
Germoglierò
Germoglierò

sabato 10 novembre 2007

Solo un simbolo

Mi sono persa!
per cercarmi però, devo sapere chi sono
e forse sono diversa
ci vorrà una vita per trovarmi
mi cerco tra le stelle
scrivo capitoli nella mente
attraverso di te che mi amo
per mezzo poesia mi decanto
germoglio crescendo un figlio
inquieto le notti interrogando
perché esisto? chi sono?
sono tre mila anni addietro o avanti?
lo stesso vissuto in parole diverse?
mi ritrovo in un piccolo oggi




scritta da me

A caccia di profitti

Considerando che il "buono" se lo prende la SAMSO, l'appaltatore cerca di rifilarci il bonus facciate, e via....alle votazioni...