domenica 7 giugno 2009

Tesina sull'infinito per gli esami di stato, da Leopardi a Nietzsche

SCHEMA

Italiano: Leopardi, "L'Infinito".
Latino: il concetto di infinito in Lucrezio e in Manilio.
Filosofia: l'Assoluto di Schelling, l'eterno ritorno di Nietzsche.
Inglese: la poetica del sublime e la percezione dell'illimitato fa preromanticismo e romanticismo.
Francese: l'idea di infinito in Baudelaire.
Arte: la rappresentazione del sublime, dell'immenso, dello smisurato in Friedrich e in Turner.
Area scientifica: la teoria inflazionistica dell'universo; il concetto fisico-matematico di limite tendente all'infinito.


In italiano, ovviamente, si dovrà partire dall'"Infinito" di Leopardi, e in particolare prendere in considerazione il modo in cui, in quell'idillio (in accordo con la "poetica del sensismo" che Leopardi ereditava dalla cultura del Settecento), il soggetto arriva alla percezione, o meglio alla vaga e indefinita intuizione, dell'oltre, dell'illimitato, dello sconfinato proprio a partire dall'immediatezza dei dati sensoriali (la siepe e il suo stormire).

Riccardo Bacchelli (l'autore del romanzo "Il Mulino del Po", che era anche un fine critico letterario), nel suo commento ai "Canti", richiama, a proposito del celebre verso conclusivo dell'"Infinito" ("e il naufragar m'è dolce in questo mare"), il "gran mar dell'essere" di cui parla Dante (Paradiso, I, 113): un'immagine, quella dantesca, che a sua volta rinvia al "pelagus substantiae infinitum", al "mare infinito della sostanza", di cui parlava la filosofia scolastica, la quale (ben prima della rivoluzione scientifica e di Giordano Bruno) aveva visto con chiarezza l'infinità di Dio, della inestinguibile sorgente di essere da cui tutte le creature scaturiscono, e a cui tutte, come insegnava il neoplatonismo, desiderano tornare.

Ma appare più plausibile e più consueto il richiamo alle poetiche preromantiche, ad esempio quella di Emund Burke, il celebre teorico del sublime, che annoverava proprio le idee di infinità ed eternità fra le più efficaci fonti della sensazione del sublime, che è piacere estetico derivante dalla percezione dell'immenso, dello sconfinato, dell'illimitato, e nel contempo dalla conseguente autocoscienza e consapevolezza della propria natura limitata di esseri umani, o quelle di Thomas Gray, di William Wordsworth, o di William Blake, di cui sono emblematici i versi iniziali di Auguries of Innocence:
"To see a world in a grain of sand,
And a heaven in a wild flower,
Hold infinity in the palm of your hand,
And eternity in an hour".
L'infinito, nello spazio e nel tempo, si raccoglie e si fonde nell'individualità del soggetto che contempla e rievoca.

Interessante notare come la metafora del "mare dell'infinito" si ritrovi in Baudelaire, ad esempio nella poesia L'homme et la mer:
"Homme libre, toujours tu chériras la mer!
La mer est ton miroir; tu contemples ton âme
Dans le déroulement infini de sa lame,
Et ton esprit n'est pas un gouffre moins amer".
Anche in Baudelaire, come in Leopardi, l'infinito si riflette nell'interiorità dell'uomo per venirne poi nuovamente proiettato sulla vitalità sconfinata, multiforme e inarrestabile della natura.

Di un'infinità legata non allo spazio, ma interamente alle sensazioni artifcialmente amplificate, straniate, esasperate, distorte, parla poi il celebre sonetto Correspondances:
".... l'expansion des choses infinies,
Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens,
Qui chantent les transports de l'esprit et des sens".

Analoga la percezione del sublime e dello smisurato nella pittura (basti pensare al Viaggiatore davanti al mare di nebbia di Johann Caspar Friedrich, che potrebbe costituire un coerente commento iconografico all'Infinito leopardiano, o alle visioni marine in Turner), che rappresenta la violazione o la dilatazione dei limiti attraverso una pennellata mossa e nebulosa, e un tortuoso e vorticante scompaginamento delle proporzioni e delle prospettive, ormai lontane dalla limpidezza e dalla misura (contenute, sorvegliate, saldamente vincolate alla finitudine) dell'estetica neoclassica. La dialettica tra finitezza ed infinito, prossimità e lontananza, esperienza e indefinito si traduce in tensione stilistica e formale.

Più difficile il discorso per latino. Gli antichi, in genere, rifuggivano dall'idea di infinito, considerandolo sinonimo di imperfezione (l'infinito può, per definizione, contenere tutto, anche imperfezioni, impurità, contraddizioni di ogni sorta, mentre la finitezza, il limite rendono possibili e favoriscono l'equilibrio, la simmetria, l'armonia).

Fa eccezione, ad esempio, Lucrezio.

"L’idea di Lucrezio sull’universo era basata su due cardini fondamentali: l’infinità dello spazio e l’infinità della materia. La convinzione di Lucrezio di questi asserti deriva dalla considerazione che se lo spazio non fosse infinito, dopo tanti secoli, la vita sarebbe scomparsa, e che l’infinità della materia deriva dalla necessità che il numero degli atomi primordiali, che sono eterni, non sia limitato.

Ora poiché per certo già in mente t’ho messo che eterni
atomi nello spazio volteggian perenni, compatti, d’invisibile corpo,
che volger di tempi non spegne, a definir m’accingo
se un termine al numero d’essi debba, o meno, assegnarsi;
del pari di quel che si disse vuoto od inane o spazio, nel quale si muovono i corpi,
scruteremo se tutto in luogo concluso si serri,
o in desolati s’apra abissi infiniti profondi.
Tutto l’essere adunque, dovunque ti volga, s’estende infinito:
altrimenti dovresti assegnargli un estremo.
Ma imaginar l’estremo possibil non è, se non oltre
cosa vi sia che chiuda: un limite certo, che il senso
a sorpassar non valga, per quanto vi drizzi l’acume.

Per rendere chiara l’idea di infinità, Lucrezio fa l’esempio della freccia che, anche se lanciata dagli estremi confini dell’universo, deve sempre andare più in là, non potendosi concepire che venga fermata o rimbalzi indietro per la presenza di nuovi corpi".

Accanto a Lucrezio, si potrebbe citare il meno noto Marco Manilio, che, sulla scia degli Stoici (e distaccandosi quindi dall'epicureo Lucrezio) concepisce anch'egli l'universo come infinito, e pervaso da un universale spirito vitale, da una "certa ratio", da un sempiterno ed onniprensente"logos" che si traduce nell'ordine del cosmo.

Per questo "iuvat ... immenso spatiantem vivere caelo", vivere spaziando con lo sguardo (come poi farà Galileo) per l'immenso cielo, riconoscendovi le tracce di un ordine razionale di cui l'uomo stesso è compartecipe, oltre che conscio.

Da notare, poi, che il cosmo stesso è scandito e governato da un ritmo poetico, "vix soluta suis immittit verba figuris", "condifficoltà infonde nelle sue configurazioni parole che non siano scandite da un ritmo poetico".

Qui si potrebbe inserire un richiamo a Schelling, secondo il quale l'Assoluto stesso è il "poeta infinito",una infinita potenza creatrice la cui opera d'arte è l'universo medesimo, la Natura in cui l'Assoluto si aliena e si manifesta.

Prima dell'idealismo romantico, di cui Schelling è esponente, Kant distingueva il "sublime dinamico" (legato alla forza e all'intensità di un movimento vasto ed imponente, come quello di una cascata) e il "sublime matematico", legato alla quantità, alla mole, all'imponenza, evocatrici anch'esse di una possibile infinità, che nella sua totalità si sottrae però allo sguardo e alla concezione umani.

Sul concetto di Infinito è poi incentrata una delle "antinomie" analizzate nella "Critica della ragion pura": "Poiché il mondo è un tutto assoluto, fuori del quale non c'è oggetto d'intuizione, né, perciò, un correlato del mondo, con cui questo sia in relazione, la relazione del mondo con lo spazio vuoto sarebbe una relazione con nessun oggetto. Ma una simile relazione, e però anche la limitazione del mondo da parte dello spazio vuoto, non è niente. Dunque il mondo, rispetto allo spazio, non è punto limitato; cioè esso, quanto alla estensione, è infinito". Finito e infinito contrastano dialetticamente nella visione di Kant, diviso anche in questo fra razionalismo e romanticismo, fra la fiducia nella ragione e la suggestione del sentimento e del sublime.

Tanto quella stoica, quanto quella di Schelling (alla quale prima si accennava) sono concezioni, in senso lato, panteistiche; e non per nulla si è parlato di uno "spinozismo romantico", giacché l'idealismo ottocentesco, con le sue concezioni dell'Assoluto e dell'Infinito (dell'"idea vivente, calata nel reale", come dirà Francesco De Sanctis), rivisitava il "Deus sive Natura" di Spinoza.

Ecco i versi di Manilio:

Carmine divinas artes et conscia fati
sidera, diversos hominum variantia casus,
caelestis rationis opus, deducere mundo
aggredior primusque novis Helicona movere
cantibus et viridi nutantis vertice silvas,
hospita sacra ferens nulli memorata priorum.
Hunc mihi tu, Caesar, patriae princepsque paterque,
qui regis augustis parentem legibus orbem
concessumque patri mundum deus ipse mereris,
das animum viresque facis ad tanta canenda.
Iam propriusque favet mundus scrutantibus ipsum
et cupit aetherios per carmina pandere census.
Hoc sub pace vacat tantum; iuvat ire per ipsum
aera et immenso spatiantem vivere caelo
signaque et adversos stellarum nascere cursus.
Quod solum novisse parum est. Impensium ipsa
scire iuvat magni penitus praecordia mundi,
quaque regat generetque suis animalia signis,
cernere et in numerum Phoebo modulante referre.
Bina mihi positis lucent altaria flammis,
ad duo templa precor duplici circumdatus aestu
carminis et rerum; certa cum lege canentem
mundus et immenso vatem circumstrepit orbe
vixque soluta suis immittit verba figuris.

(Marco Manilio, Astronomica I, 1-24)

"Col carme le arti divine e gli astri
che, consci del fato, mutano le svariate sorti degli uomini
opera di una mente celeste, mi accingo a trarre giù dal Cielo
e per primo far risuonare di canti mai uditi l'Elicona
e le selve ondeggianti nelle loro verdi cime,
riferendo strani arcani, che nessuno prima di me ha ricordato.
Tu, o Cesare, principe e padre della patria,
che questo mondo governi sottomesso alle auguste tue leggi,
e tu stesso dio sei degno del cielo concesso al padre tuo,
mi dai ardire e forza per cantare un tanto soggetto.
Il cielo è più favorevole a quelli che lo scrutano più da vicino
e desidera manifestare, attraverso i carmi, il tesoro delle sue eteree ricchezze.
Questo può avvenire soltanto in tempo di pace: è bello levarsi nell'aeree vivere spaziando nell'infinito cieloe imparare a distinguere le costellazioni e gli opposti corsi dei pianeti.
Conoscere solo questo è poca cosa, ci vuole un maggiore impegno,
bisogna approfondire la conoscenza delle parti più recondite dell'Universo
e discernere in che modo esso governi e generi gli esseri animati
con le sue costellazioni e descrivere tutto questo in versi sotto l'ispirazione di Apollo.
Risplendono di fuochi da me accesi due altari,
dinanzi a due templi io prego, infiammato da un duplice ardore,
della poesia e dell'argomento: il vate canta secondo rigorose leggi,
il cielo risuona anche lui, secondo la sua infinita orbita, intorno a quello,
e a stento lascia che parole non metriche si adattino alle sue figure".

Nell'area scientifica, si potrà toccare, in àmbito cosmologico, la concezione dell'universo "finito ma illimitato", e in continua espansione, e destinato un giorno a raccogliersi nuovamente in una "singolarità", per dare adito, forse, ad un nuovo "big bang" (teoria, questa, sorprendentemente affine a quella stoica della ciclica conflagrazione, destinata a ripetersi una volta terminato il "Grande Anno" cosmico, nonché a quella nietzscheana dell'"eterno ritorno dell'uguale"), come pure la nozione di "limite", di valore "tendente all'infinito", nel campo fisico-matematico.

di Matteo Veronesi

1 commento:

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